” Moi et la cuisine… un rapporto amoroso dalle lontane radici, da ricordi della primissima infanzia ed erano i profumi della cucina delle mie nonne, quella paterna e quella materna, l’una lombarda (il suo risotto con lo zafferano), l’altra romagnola (la pasta fatta in casa e i cappelletti), poi quella di mia madre romagnola cha ha sposato un piemontese, ma di quel Piemonte “Alto”, sembra addirittura Walser, che aveva in sé la cocciutaggine e la ruvida dolcezza del pane di segale delle genti venute dalla Valle del Goms…
Una cucina “bastarda”, come le mie due cagne, Lea e Pitti, del resto io considero tutta la cucina “bastarda” o meglio “anarchica”. Beh, io sono il prodotto del DNA culinario di queste storie famigliari a cui si aggiunge la mia personale in cui il cucinare è diventato il tempo dell’Amicizia e dell’agape, a volte anche della santa baldoria, delle disfide tra gli amici ai fornelli (memorabili!), dei piatti sperimentali alla cui base spesso sta il mio orto cui attendo con le cognizioni di mio padre e di un diploma di Perito Agrario su un terra magra di montagna… Ed ancora le letture che propinavo ai miei alunni, all’antro acherontico del castello di Fratta Polesine delle “Confessioni di un’italiano” del Nievo, alle raffinatezze di Des Essainters di Huysmans, agli etilici vapori de “L’Assommoir” di Zola, alla fame del Riccetto della “Vita violenta” di Pasolini, o a quella della famiglia dei Braida de “La malora” di Fenoglio, ma anche il “Manifesto della Cucina Futurista” e il risotto alla milanese di Gadda… insomma palato e letteratura. Del resto la vita è un minestrone o una bouillabaisse, noi ne siamo i cuochi, sta a noi condirla, farla più o meno saporita, trovarne i giusti ingredienti…
Giorgio Rava
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